20.04.2021
Idee
La promettente strada dei cani anti-Covid
Il loro olfatto potrebbe rivelarsi più preciso e veloce di un tampone rapido

Dal ‘Commissario Rex’ alla lotta al Covid-19

Che il migliore amico dell’uomo possa essere un formidabile alleato nella prevenzione e repressione di crimini o comportamenti pericolosi è cosa risaputa: siamo infatti abituati a vedere agenti di polizia o militari che si avvalgono di collaboratori al guinzaglio, e uno di loro in una fiction televisiva di grande popolarità transnazionale è addirittura assurto al ruolo di ‘Commissario’ (il famoso Rex dell’omonima serie).

E’ meno noto, invece, come nel mondo siano in corso numerose sperimentazioni scientifiche che potrebbero allargare la sfera di azione dei cani a tutela dell’incolumità e della salute delle persone, a partire proprio dalla lotta al Covid-19.

L’utilizzo del fiuto canino in campo sanitario

Più in generale è proprio l’ambito sanitario la nuova frontiera di ricerca dell’apporto che i nostri amici a quattro zampe possono fornirci. L’oggetto delle sperimentazioni riguarda ovviamente il loro formidabile olfatto che consente di rilevare minuscole concentrazioni di odori impercettibili all’uomo e che, a seguito di un accurato addestramento, parrebbe essere in grado di rilevare malattie e patologie ancora prima delle diagnosi mediche.
Non solo, dunque, annusate finalizzate al ritrovamento di armi da fuoco, esplosivi o sostanze stupefacenti. Ma anche alla individuazione di specifiche patologie virali, di malattie degenerative e persino di alcune tipologie di cancro.

La ‘firma olfattiva’ del virus

Questa grande dote dei cani è facilmente spiegabile: i loro nasi ospitano da 200 milioni a un miliardo (a seconda delle razze) di recettori olfattivi, contro i 5-6 milioni i cui dispongono gli esseri umani. Una potenzialità di grande interesse per la ricerca in campo medico perché l’ipotesi di partenza degli scienziati è che le malattie incidano sull’odore delle secrezioni del corpo umano:  urina, feci, ma anche sudore, saliva, persino le minuscole particelle (l’ormai noto ‘aerosol’ sospettato di essere il principale canale di trasmissione del Sars-CoV-2) rilasciate dall’aria che espiriamo.

In che modo? Nel caso di infezioni da virus esso, nel suo replicarsi all’interno dell’organismo, produce delle molecole specifiche che, appunto, possono contaminare anche le emissioni del corpo. Più precisamente si tratta dei cataboliti, ovvero le molecole più semplici prodotte dai processi metabolici che si innescano quando il virus si replica, o quando usa la cellula per produrre il suo effetto tossico.
Queste molecole ‘escono’ dal corpo con le secrezioni ed evaporano prontamente per creare un profumo che i cani possono raccogliere. L’ipotesi dei ricercatori è che quindi esista una firma olfattiva della presenza virale, così come di alcune patologie cancerogene o degenerative.

Gli ottimi ma parziali risultati delle sperimentazioni sull’olfatto canino

Certo si tratta di studi ancora in pieno corso. E sul tema esistono ancora pochissime pubblicazioni scientifiche. Nei mesi scorsi (novembre 2020) la rivista Nature ha però dedicato ampio spazio all’argomento riportando i primi risultati delle sperimentazioni empiriche in corso in diverse nazioni e contesti. Si tratta di prove in cui, generalmente, sono stati estratti campioni di sudore o di saliva di persone positive o negative al Coronavirus e sottoposte al fiuto di cani preventivamente addestrati.

I risultati sembrano molto incoraggianti, percentualmente in linea se non addirittura superiori all’esattezza dei riscontri dei tamponi molecolari: secondo una ricerca pubblicata, condotta dal Royal Veterinary College della University of London, le percentuali di corretto riconoscimento dei cani viaggiano tra l’83 e il 96%. Risultati confermati da test condotti in aeroporti di Emirati Arabi Uniti, Finlandia e Libano, e da due studi di laboratorio condotti in Europa.
Il primo, realizzato dalla Ecole Nationale Vétérinaire d’Alfort e dall’Université Paris Est ha ottenuto un tasso di rilevazione esatta tra l’83 e il 100 per cento con l’utilizzo di campioni di sudore.
Il secondo, prodotto dalle Università di Hannover e Amburgo e dal Central Institute of Medical Service delle Forze Armate della Germania, ha ottenuto un tasso medio di rilevazione esatta del 94 per cento utilizzando campioni di saliva. Ma nonostante tali successi le campionature ridotte consigliano ancora prudenza. 

Il progetto sperimentale di utilizzo dei cani avviato all’Università Campus Bio-Medico di Roma

Di sicuro gli studi condotti chiariscono che i cani impiegabili nelle sperimentazioni in corso necessitano di un approfondito addestramento. Secondo i critici infatti solo quando vi saranno sperimentazioni su vastissima scala si capirà se i cani sapranno davvero riconoscere l’odore specifico del Covid (e non del singolo campione che gli viene sottoposto), ma per poterle affrontare gli esperti concordano che siano necessarie dalle 4 alle 8 settimane di allenamento intensivo.

Condizioni, queste, che sono pienamente recepite nel progetto di ricerca che è stato avviato a Roma presso il Drive-in Campus test del Policlinico Universitario Campus Bio-Medico e che verrà realizzato su un campione statistico rilevante di oltre 1000 pazienti.

Grazie alla collaborazione con NGS Srl, impegnata nell’impiego di cani addestrati per la sicurezza anti-esplosivo in emergenze e grandi eventi, dopo una prima fase di addestramento nella quale i cani saranno preparati al riconoscimento del Covid-19 attraverso specifiche tecniche mutuate dalla rilevazione degli esplosivi, il progetto vedrà quattro-sei settimane di sperimentazione sui pazienti che effettuano i tamponi al Drive-in Campus test.
Il paziente effettuerà un auto-prelievo del sudore con una garza che verrà poi inserita in un contenitore anonimo dotato di numero identificativo corrispondente. Gli operatori cinofili sottoporranno il campione al cane che, in pieno comfort e sicurezza (non vi è mai contatto diretto con la sostanza biologica), grazie all’addestramento ricevuto darà in pochi secondi il suo responso sulla presenza del Covid-19.
L’operatore annoterà il risultato del test su un apposito registro, mentre parallelamente il laboratorio analisi del Policlinico eseguirà il test molecolare del tampone nasofaringeo dello stesso paziente e confronterà i risultati.

Immagine: La promettente strada dei cani anti-Covid

I tanti vantaggi del ricorso al fiuto canino

Non sfugga la grande importanza del progetto in corso. Se i risultati si confermeranno positivi, in prospettiva potrebbe essere estremamente utile ricorrere ai cani addestrati in contesti urbani ad alta affluenza di pubblico, ad esempio snellendo le attività di screening anti Covid-19 nell’ambito di grandi eventi, all’ingresso di cinema, stadi e agli accessi di stazioni ferroviarie, metropolitane, aeroporti e porti. Ma anche all’interno di scuole e università.

Un cane addestrato può impiegare circa 10 secondi per riconoscere un caso di positività, mentre un tampone rapido richiede 20-30 minuti per fornire un risultato e almeno 24 ore il tampone molecolare. Oltre alla velocizzazione delle operazioni di accesso ai luoghi di aggregazione, l’impiego dei cani comporterebbe ulteriori diversi vantaggi, quali l’abbassamento delle spese derivanti dall’utilizzo dei tamponi e una migliore organizzazione ed efficacia dei controlli.

Questo non significa che il fiuto canino possa sostituire i test clinici: si tratterebbe piuttosto di una modalità preventiva non invasiva, a basso costo e soprattutto a risposta immediata che, unitamente alle tecnologie sensoristiche, potrebbe essere praticata in luoghi ad elevata concentrazione di individui, incrementando in tal modo il livello di sicurezza delle persone.  

“Siamo entusiasti del partenariato avviato con il prestigioso Policlinico Universitario Campus Bio-Medico di Roma con cui siamo impegnati congiuntamente sulla sperimentazione scientifica COVIDOG – spiega il Dott. Luigi Cola, che oltre ad essere a capo del Progetto di NGS srl è anche Presidente della società Security and Training srl controllata da Coopservice. – La professionalità degli addestratori cinofili, la loro lunga esperienza e l’intenso lavoro tutt’ora in corso, stanno già facendo registrare importanti risultati sia in termini di efficacia del metodo di lavoro, sia in termini di risultati. Siamo convinti di riuscire a sviluppare un processo di implementazione delle metodologie di screening sul Covid-19 che sarà illustrato attraverso un documento ed una pubblicazione scientifica di cui se ne informerà, circa i risultati raggiunti, l’autorità sanitaria nazionale per promuovere tale metodologia insieme al Protocollo di addestramento dei cani, affinché possano essere utilizzati efficacemente negli eventi o nelle aree ad alta concentrazione di persone con l’obiettivo di garantire una efficace prevenzione nella diffusione del virus.

L’impiego delle unità COVIDOG a supporto delle attività di sicurezza – svolte dagli istituti di vigilanza in occasione di eventi, negli aeroporti, nei porti e nelle stazioni ferroviarie, per non parlare di scuole, università, mercati, ecc. – costituirà una nuova frontiera per i servizi di sicurezza che, unitamente alle nuove tecnologie ed ai procedimenti di analisi clinica, consentiranno agli operatori specializzati di operare accelerando il ritorno ad una auspicata ‘normalità’”.

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